Eccomi qua a dare notizie di me e del progetto a cui partecipo con non poche, ma ben superabili difficoltà, come l’acqua corrente non potabile (ma questo si sapeva), il continuo saltare dell’elettricità (in media ci sono dalle 10 alle 15 ore di elettricità al giorno nella capitale) e la difficoltà continua di connessione con internet. Da ieri è saltata anche la fornitura di gas e di tutti i derivati del petrolio a causa dei continui scontri politici a sud del paese che bloccano il rifornimento dei prodotti petroliferi dall’India.

Il terremoto del 25 aprile e dei primi di maggio ha lasciato sul terreno 8.467 vittime, più di 17.000 feriti e distrutto totalmente più di 300.000 case. Fortunatamente, anche grazie agli aiuti umanitari internazionali e alla forza di volontà del popolo Nepalese, ad oggi poche sono le situazioni di vera emergenza e in quasi tutto il territorio nazionale la situazione si può dire tornata quasi alla normalità. Il problema però è che la normalità, soprattutto nei centri abitati più remoti è disastrosa su diversi fronti!

Parlando dello specifico ‘donne’, visto che sono ospite dell’associazione “Donne per i Diritti Umani”, (WHR), attualmente si contano quasi tre milioni e mezzo di donne vulnerabili (vedove, adolescenti, anziane, donne nella miseria, con difficoltà a reperire cibo, acqua, medicine, assistenza al parto). A queste si aggiungono le continue violenze in ambito privato cui sono soggette, dato che vengono considerate inferiori agli uomini. Per farti un’idea, la settimana scorsa è stata firmata (dopo sette anni di scontri che continuano tuttora) la Costituzione Nepalese che prevede, tra le altre cose, diverse discriminazioni di genere. Solo un esempio: la Costituzione sancisce che un bambino nato al di fuori del matrimonio (per qualsiasi motivo) non può essere registrato all’Ufficio Anagrafe, perché non può in nessun caso prendere il cognome della madre. Il che vuol dire che non potrà andare a scuola, non potrà avere assistenza sanitaria, nessun nome, nessun lavoro, né passaporto.

Parlo ora del mio lavoro. Ieri siamo tornati da un sopralluogo di tre giorni a Choprakh, quasi 10.000 abitanti, la maggior parte Dalit, una tra le caste più basse qui in Nepal. Il progetto  cui stiamo ora lavorando è un progetto a lungo termine (5-10 anni) chiamato ‘Model Village in Gorkha’. WHR, l’associazione di 84 mila vedove, partner di Incontro fra i Popoli,  assieme al Governo, ha individuato la regione di Chhoprakh della provincia di Gorkha come il sito su cui costruire un nuovo modello di paese, dove ci sia uguaglianza di genere e sia socialmente sostenibile nel post-sisma. L’equipe che sta lavorando a questo progetto conta una decina di persone, tra cui io ed altre tre volontarie internazionali. Il progetto si svilupperà in tre fasi: valutazione iniziale, assistenza e recupero a breve termine, accompagnamento a lungo temine. Siamo nella prima fase del lavoro: ci stiamo concentrando sui bisogni e sulle necessità primarie del paese (sarebbe più corretto chiamarlo territorio, dato che gli abitanti sono sparsi su un’area montuosa davvero molto vasta), nonché sulle richieste degli abitanti stessi. Stiamo consultando sia le autorità, che gli abitanti con interviste mirate ed incontri, sia pubblici che privati, come pure l’insegnante, i capi carismatici e il medico che è l’unico in Gorkha e che deve assistere una regione molto vasta. Tutto questo serve per raccogliere il maggior numero di dati e conoscere a fondo il territorio su cui poi andremo ad operare.

Contiamo di trasferirci a breve nel paese per un periodo di tempo limitato (probabilmente una o due settimane) per poter avere la fiducia della comunità dato che i Dalits non vogliono nessun rappresentante del Governo.

Qui il tempo vola senza che me ne accorga, tanta è la dedizione che questo team ci mette nel progetto. Sono davvero entusiasta del lavoro che stiamo facendo e spero davvero che WHR centri l’obiettivo.

Un carissimo abbraccio!