Vision

  • “Al povero non manca l’intelligenza, ma solo l’opportunità”
  • Solidarietà – Cooperazione – Condivisione

Mission

  • “… per un’economia di condivisione …”
  • Accompagnamento e sostegno allo sviluppo endogeno delle fasce sociali più deboli delle popolazioni svantaggiate
  • Promozione di una cultura di pace e solidarietà

Solidarietà Cooperazione Condivisione

Incontro fra i Popoli ha come “vision” il prevalere della “solidarietà” verso il prossimo rispetto ad ogni altro tipo di relazione umana. E quando è l’empatia ad essere il primo parametro di approccio al prossimo, subito ne nasce un impulso alla “cooperazione”, intesa come impegno unitario per il raggiungimento di un bene comune.

Anche quando la solidarietà diventa cooperazione con chi è più debole, l’obiettivo finale non è l’assistenzialismo, ma la piena realizzazione di entrambi le parti, perché anche chi è in posizione di forza maggiore, lo è solo su qualche aspetto dell’essere persona ed umanità, per cui anche per lui c’è qualche obiettivo da raggiungere.

E in questa differenza di partenza, la solidarietà genera una cooperazione che è reciproco scambio di ogni tipo, e si esaurirà solo nella “condivisione”, dove “nessuno considera sua proprietà quello che gli appartiene, ma tutto è in comune e nessuno è nel bisogno”.


No profit

Incontro fra i Popoli è un’associazione fondata sul volontariato, cioè sulla gratuità del servizio reso. Questo non vuol dire che non ci sia circuito monetario e personale remunerato. Tuttavia Il circuito monetario è solo un ricevere per dare, un semplice servizio di passamano fra chi offre per uno scopo umanitario e i beneficiari. Per quanto riguarda il personale impiegato, c’è un post-it nella bacheca della sede dell’associazione: “Lo staff operativo di Incontro fra i Popoli non è un gruppo di impiegati che fanno anche del volontariato, ma è un gruppo di volontari che si danno eventualmente uno stipendio (se non hanno altri introiti).

Incontro fra i Popoli si è sempre voluta dare una struttura imprenditoriale, pur restando “no profit”. E come tale si è fatta valutare con una tesi dell’Università di Torino, ricevendone un punteggio lusinghiero. Ma il suo “profit”, che alla fine di ogni anno ci si augura sempre in aumento, lo si ricava solo dalla risposta ad una semplice domanda: “Quante persone nel mondo stanno meglio grazie alla nostra opera? Cosa fare per aumentarne il numero?”.

Emblematica ma pregnante la risposta data da un giovane diciottenne neosocio di Incontro fra i Popoli agli amici che gli chiedevano che cosa comportasse per lui la scelta che aveva appena fatta: “Vedi, se ti fai socio di Incontro fra i Popoli, non potrai più comprarti un’auto da 30-40 mila euro”.

Incontro fra i Popoli è innanzitutto un messaggio valoriale alle persone e alla società e chi ne diventa parte fa la scelta di coerenza con chi è più nel bisogno. Il suo operare nell’associazione e nella società è un “fare strada ai poveri, senza farsi strada”,  come disse don Lorenzo Milani.


Partenariato

Incontro fra i Popoli fonda la sua presenza presso altri paesi ed altri popoli sul ‘partenariato puro’, ritenendo che la ‘cooperazione internazionale’ preveda uno scenario in cui nessuno deve aiutare nessuno, ma tutti si aiutano reciprocamente; nessuno è superiore a nessuno, ma tutti cooperano allo stesso livello; nessuno sa più di un altro, ma tutti hanno da dare e da ricevere.

La presenza di Incontro fra i Popoli in altri paesi non ha il significato di “progetti da realizzare”, quanto di “relazioni”, sempre di alta qualità, da creare e poi mantenere vive. Ci si relaziona con le migliori espressioni della società civile organizzata e strutturata, generate dalla popolazione del posto. Sono questi “Partner” che, nel servizio reso quotidianamente alle loro popolazioni, studiano ed elaborano, anche con il nostro aiuto, dei progetti di miglioramento e di crescita del servizio sociale che si sono dati come ‘mission’. Con loro abbiamo legami di “reciprocità”: ci consideriamo reciprocamente attori di sviluppo presso i nostri rispettivi popoli.

Il nostro rapporto ha durata praticamente infinita, poiché condividiamo lo stesso ideale di servire i popoli e le persone che li compongono, con risorse umane e tecniche proprie. Per noi, avviare un rapporto di partenariato significa iniziare un nuovo impegno che deve essere reciproco, una condivisione di competenze e di responsabilità; un nuovo legame di collaborazione con un altro attore che condivide con noi valori, metodi ed obiettivi a lungo termine. Il partenariato non ha costrizioni di tempo o di mezzi. Le caratteristiche di un rapporto di partenariato sono la collaborazione paritaria tra società civili, l’osmosi di valori, risorse umane e mezzi tecnici e finanziari, lo scambio tra culture.

Prima di stabilire in maniera stabile un nuovo rapporto di partenariato e dunque anche di aprirsi ad una nuova zona d’intervento e conseguentemente impegnarsi su nuovi progetti, Incontro fra i Popoli si dà il tempo necessario per arrivare a conoscere adeguatamente la zona in cui opera il partner, lo spessore etico, sociale, organizzativo, gestionale e storico del nuovo partner, la sua capacità di dialogo con le popolazioni del territorio, con le autorità locali, nazionali ed internazionali, la sua struttura, il suo organigramma e i suoi riconoscimenti giuridici.

Tutto questo è garanzia di costruzione di un rapporto fondato nel rispetto dell’uguaglianza di potere delle parti e basato sullo scambio, la fiducia, il rispetto degli impegni presi, la trasparenza e la reciprocità. Nel caso in cui un nuovo possibile partner si mostri giovane e debole, tra tutti i criteri per la sua accettazione, il più indispensabile resta l’eticità: onestà dei soci e dedizione alla causa delle fasce sociali deboli.

Per Incontro fra i Popoli essere partner significa anche accompagnare le giovani ONG autoctone affinché divengano capaci di autogestirsi, di comprendere ed interpretare correttamente i problemi locali ed internazionali e di dialogare con altre espressioni della società civile locale, nonché con ONG di altri paesi e con le agenzie internazionali. Conseguenza di questo è che Incontro fra i Popoli ha stabilito dei profondi legami di partenariato con diverse ONG di altri paesi, anche senza avere con loro dei “progetti” da realizzare, visto che il partenariato è prima di tutto un legame di vita vissuta in comune, una lunga maratona da percorrere insieme. Certamente il cammino in comune si concretizza nella realizzazione di micro e macro interventi e dunque di progetti, ma senza avere l’ansia di inseguire progetti da realizzare secondo i bandi del momento e della moda.


Osmosi

E’ saggio colui che sa cambiare, che sa quando e come cambiare. E’ stolto colui che si arrocca sulle proprie idee, sulle sue posizioni, su modi e metodi consolidati e rassicuranti. Tutto è continuo cambiamento, seppure attorno a valori immutabili. Saggezza, onestà, rispetto, dialogo prendono le forme delle persone, ognuna sempre ‘irripetibile’ e ‘diversa’ da ogni altra, e danno forma alle società. Soggetti autonomi ma interdipendenti, che cambiano nel tempo e fanno mutare i tempi.

Una volta si diceva che il ‘Terzo Mondo’ era rimasto indietro rispetto a noi. I missionari ci parlavano di gente povera e poco civilizzata. I coloni di gente che doveva essere ‘inquadrata’ per lavorare. E le Nazioni Unite nel primo decennio per lo sviluppo (anni ’60) proponeva, come panacea per sviluppare i paesi ‘sottosviluppati’, un massiccio trasferimento di tecnologie dal nostro ‘Primo Mondo’. Poi anche il nostro livello culturale si alzò un po’: “Voi che andate nel Terzo Mondo, lasciate laggiù le vostre conoscenze e le vostre ‘expertise’, create ‘omologhi’ che imparino da voi e che sappiano continuare dopo di voi”. Infine ci si rese conto che nei paesi ‘altri, catalogati come Terzi dai paesi arricchiti, più che ‘povertà’ c’è ‘diversità’. Tutti siamo molto ricchi e molto poveri nello stesso tempo.

Ecco allora un altro salto di qualità nell’evoluzione culturale: il concetto di osmosi. Diversi contenitori, ognuno con differenti ricchezze che si uniscono senza fondersi, perché storicamente, culturalmente, socialmente diversi, separati da una sottile membrana che tuttavia lascia passare le ricchezze da un popolo all’altro, dando la possibilità di colmare le reciproche povertà, senza preconcetti, pregiudizi, imposizioni e superiorità. Allora il dialogo riesce meglio, è più profondo; allora si inizia a concepire il futuro insieme, a prospettare insieme miglioramenti sia individuali (io di me stesso, lui di se stesso), che collettivi (noi della nostra società, loro delle loro società).

Nel mondo della cooperazione internazionale si abbandonò il concetto di ‘omologo’ e si introdusse il concetto di ‘progetto’, anche perché voluto dalle istituzioni pubbliche che iniziavano a foraggiare le ONG. Si parlò poi di ‘programmi’, articolati in vari progetti e ci si mise la ciliegina del ‘microcredito’. Tutti concetti e novità quanto mai preziosi ed imprescindibili per un vero ‘sviluppo’, ma sempre concepiti purtroppo come ‘sviluppo altrui’ e quindi ancora lontani dal concetto teorico di ‘osmosi’ che in termini moderni si chiama ‘partenariato’ e traduce molto bene quel concetto di prezioso e arricchente scambio fra persone e mondi diversi, verso uno ‘sviluppo’ comune, pur nella diversità. Un vero ‘Incontro fra i Popoli’ che, partendo da obiettivi occasionali e puntuali (costruzione di pozzi, di scuole, di cooperative agricole, …) punta allo scopo ultimo dell’eliminazione delle cause della mancanza di pozzi, di scuole, di imprenditoria locale e quindi si prefigge cambiamenti sociali, culturali e soprattutto politici.


A-politici?

E’ facile essere “a-partitici”, cioè non appartenere ad alcun partito politico, più o meno effimero. Impossibile invece è essere “a-politici”.

E’ assurdo dire:  “La politica non mi interessa, né mi interesso di essa.” E’ come dire: “Non mi interesso degli affari miei!”. Perché è il politico che decide le tasse che pagherai, l’età in cui andrai pensione, il costo della scuola che frequenta tuo figlio, la strada che farai per andare al lavoro o in vacanza, ecc. E’ ancora più assurdo sentirsi dire: “Mi avete votato, ora lasciatemi fare”. Andare a votare è la punta dell’iceberg della democrazia, che come base più ampia ha la costante presenza critica e propositiva di ogni cittadino e di ogni espressione della società a fianco dell’eletto, che sia del partito che si è votato, come di un partito non votato.

Comunque sia, che ci si interessi o no della politica, nessuna azione, individuale e collettiva, per quanto piccola, può collocarsi al di fuori della politica, perché “politica”  è l’insieme delle azioni sociali individuali e collettive, perché comunque hanno riflessi negli altri e nell’ambiente. Per il solo fatto che facciamo parte di una società, siamo ‘persone politiche’. Ogni azione che compiamo, parola che pronunciamo, scelta che facciamo, è schierarci, è fare politica, è partecipare al governo della città-comunità (polis).

Anche l’acquisto di una banana è azione politica: la scelta dell’una o dell’altra marca o la scelta di disinteressarsi della marca. Con quale impronta ecologica è prodotta quella banana? Con quale retaggio di rispetto o disprezzo dei diritti umani verso il produttore? Perfino scegliere di guardare un telegiornale piuttosto che un altro è politica.

Ogni nostra scelta ha ripercussioni sull’intera collettività, orientandola verso un miglioramento o verso un peggioramento. E’ l’onestà di fondo che dà valore etico a qualsiasi nostra scelta o orientamento ideologico. Per questo dobbiamo rispettarci, quando ci troviamo con idee e punti di vista diversi. Ma non mettiamo l’etichetta “onestà di fondo” alle opinioni ed alle scelte fondate sul disinteresse, l’indifferenza, la disinformazione, il “non so, non mi interessa”.

E’ “schiavo sociale” chi fa suo e ripete quanto i media dicono, quanto afferma il politico demagogo di turno. Chi non si interessa di politica è funzionale alla politica del più forte e quindi fa politica. O scegli tu o gli altri scelgono te e fanno di te lo strumento della loro “politica”.

E che dire quando sono le associazioni di volontariato e di servizio sociale a dichiarare che non sono ‘politiche’? O peggio ancora quando viene chiesto loro espressamente di non immischiarsi in politica? “Non è bene – ci disse per telefono un simpatizzante – che Incontro fra i Popoli si schieri (in quel caso per il SI al referendum contro la privatizzazione dell’acqua). Un’associazione deve restare al di sopra delle parti. Chi fa del bene, non deve schierarsi politicamente!“. Perché solo chi fa del male o vuole restare amorfo può schierarsi politicamente?

Non è concesso alle associazioni umanitarie di restare neutrali. Se si dichiarano “a-politiche”, vuol dire che avvallano la politica del momento e si assumono la corresponsabilità delle scelte che fanno i politici di turno. Non si può essere presenti nel proprio paese, nel proprio territorio, nel mondo, come meri samaritani che curano le piaghe provocate da altri, disinteressandosi, se non rifiutandosi di conoscere ed affrontare le cause e gli attori. Prima che amorevoli samaritani, si deve essere sollecitatori di analisi critiche e promotori di azioni risolutive, che vanno a toccare la politica locale e mondiale, l’opinione pubblica locale e mondiale.

Disinteresse e pietismo sono decise scelte di schieramento politico, che approva e si accoda a chi genera l’ingiustizia. Nulla è isolato; tutto ci coinvolge. Di tutto siamo corresponsabili, seppure a volte non colpevoli. Ma quando ci disinteressiamo o ci limitiamo a curare le ferite, ne siamo anche colpevoli.


A-confessionali

  • Cristianesimo: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro.” Vangelo (Matteo 7,12; Luca 6,31)
  • Ebraismo: “Non fare ad altri ciò che non vuoi che essi facciano a te.” Rabbi Hillel, Shabbat 31a
  • Islam: “Nessuno di voi è un credente fintanto che non desidera per il proprio fratello quello che desidera per se stesso.” 40 Hadithe Detti di Maometto di an-Nawawi 13
  • Buddismo: “Una condizione che non è gradita o piacevole per me, come posso io imporla ad un altro?” Samyutta Nikaya V, 353.35-354.2
  • Induismo: “Non bisognerebbe comportarsi con gli altri in un modo che non è gradito a noi stessi” Mahabharata XIII, 114.8
  • Confucianesimo: “Quello che non desideri per te, non farlo neppure ad altri uomini.” Confucio, Dialoghi 15,23
  • Giainismo: “L’uomo dovrebbe trattare tutte le creature del mondo come egli stesso vorrebbe essere trattato.” Sutrakritanga I,11.33

Pace

Noi dell’associazione Incontro fra i Popoli ci riconosciamo nel valore della Pace, inteso sia come rifiuto assoluto di ogni conflitto armato, che come risultante di un cammino unitario e un dialogo costruttivo fra i popoli e le persone. In particolare ci piace essere per:

  • Un dialogo fra civiltà, dove il meglio di ognuna smussa i limiti dell’altra e fa crescere stima e collaborazione reciproca.
  • Un’economia di condivisione e non di aggressione e rapina, che impoverisce i popoli deboli, li esaspera, fa nascere l’emigrazione, la povertà, la rabbia, il terrorismo.
  • Un commercio che privilegi la produzione e la circolazione di merci per rispondere ai bisogni fondamentali, in funzione della promozione della persona, non del profitto e dell’arricchimento di alcuni popoli.
  • Un’informazione trasparente e libera da strumentalizzazioni e interessi di parte, in grado di fornire gli elementi necessari alla comprensione dei problemi fin dalla loro origine.

L’altrui civiltà

Di che cosa è ricca l’Africa, quel continente che a noi Europei ci è stato inculcato essere povero, mendicante, il “non arrivato”, il “mantenuto dai nostri aiuti”?

“Ricordati, figliolo – dicono i vecchi missionari ai giovani appena arrivati – ricordati che l’Africa non ti entra viaggiando sul cielo e neppure su quattro ruote e neppure dai libri. L’Africa ti entra dai piedi. Cammina, cammina … Cammina con gli africani, parla con loro, mangia con loro, danza con loro, lavora con loro. Scoprirai la ricchezza dell’Africa”. Il capo villaggio non è certo stato eletto democraticamente, ma è comunque colui che riassume le esigenze e le potenzialità di tutti. Nulla decide senza il consiglio degli anziani, fra i quali spesso, con lo sviluppo sociale degli ultimi decenni, c’è qualche donna. E i saggi si consigliano con le mogli e i giovani. Una democrazia dal basso: ogni villaggio è una piccola “polis”.

Se parli con la gente, quella ancora genuina, senti respirare Dio. Senti che le persone pure vedono Dio in ogni evento e in ogni essere. Il mondo è a servizio dell’uomo, sotto l’occhio vigile di Dio. La visione del mondo in Africa non è utilitaristica. Non si può dire che in Africa il giovane “prenda moglie”, quanto piuttosto che al giovane venga donata la sposa, in cambio di un altro dono, la dote. Nei mercati mai il venditore chiederà il giusto prezzo della merce, ma almeno il suo doppio. E chi acquista si dichiarerà disponibile a pagare un quarto di quanto chiesto. Si instaura così un dialogo che porta entrambi al giusto prezzo, accettato quindi come disponibilità del venditore a lasciar perdere un po’ del suo guadagno e disponibilità dell’acquirente ad essere generoso alzando la sua puntata. I rapporti umani, commerciali, sociali sono intesi come reciproco “dono” fra persone. In Africa vige l’“economia degli affetti”.

A volte all’Europeo “agente di sviluppo in Africa”, viene la pelle d’oca di fronte al testardo rifiuto di nuove brillanti iniziative di progresso. Non c’è progetto di sviluppo che regga in Africa se fatto “per” la gente, “sulla” gente. In Africa è radicata la ricerca della diminuzione del rischio e poco nulla è sentita l’esigenza di aumento del reddito. Per loro il benessere non viene dalla crescita continua, quanto invece dal soddisfacimento dei bisogni.

Ed infine è bello il valore dell’etnicità. Fa sorridere l’ingenuità di certi giornalisti italiani alle prese con gli africani. Che significa la parola “fratello” per un africano? Certamente ben oltre che “figlio dello stesso padre e della stessa madre”. Fratello è colui che fa parte della famiglia, così espansa da essere tutto il clan, fino a tutto il popolo che si riconosce in una precisa zona geografica, storia e lingua. Il “popolo”, oggi ancora chiamato “etnia”, ai tempi del colonialismo detto “tribù”!

Ed è interessante girando per l’Africa, soprattutto nelle periferie delle grandi città, vedere che sta emergendo un’etnicità trasversale, fondata su comuni interessi imprenditoriali, produttivi, religiosi, cooperativi, sociali. Nuovi fratelli, cui non si dirà mai di no, con cui si condividerà fino all’ultimo boccone della “polenta quotidiana”, anche se quella fosse l’ultima polenta per tutti. Una solidarietà indiscutibile.


Cittadinanza Mondiale

Non ti interessano il Congo, i suoi problemi, i massacri, i milioni di morti, le centinaia di migliaia di donne violentate … tutto per derubarlo senza alcun controllo e a prezzi irrisori del suo coltan, da cui si ricava il tantalio e il niobio che ti permette un computer miniaturizzato in tasca, cioè il tuo smartphone? Il Congo ce l’hai in tasca nel tuo cellulare ‘insanguinato’.”

“Non ti poni neppure la domanda del perché c’è un così grande flusso di persone che osano la morte, spinte dal desiderio di vivere libere dalla guerra e dalla fame?.

L’educazione alla Cittadinanza Mondialità per un’associazione di cooperazione internazionale è un impegno altrettanto importante dei suoi interventi nei paesi del Sud del Mondo.

Le giovani generazioni recepiscono i valori della giustizia, della positività della diversità, dell’armonia sociale … purché qualcuno coltivi in loro questa disponibilità, altrimenti essa si spegne, creando giovani apatici o deviati. E’ d’obbligo far conoscere ai giovani le interrelazioni e le interdipendenze fra i popoli, aiutarli a superare i confini della propria cultura e dell’informazione corrente, educarli a scoprire le positività delle altre culture, far loro conoscere le espressioni della società civile presso cui potrebbero diventare attori di cambiamenti positivi, coinvolgerli da subito nei processi decisionali di costruzione di una società conviviale.

Educare alla Cittadinanza Mondiale vuol dire far scoprire quanto il nostro ‘locale’ influenzi il ‘globale’ e quanto del ‘globale’ è presente anche nel nostro locale. Un’attenzione quindi a ciò che succede nel mondo, nell’umanità lontana e nello stesso tempo un’attenzione a ciò che succede nel nostro paesello, nell’umanità a noi vicina, inevitabilmente sempre più multietnica. Questo è possibile se insegnanti, educatori, genitori, nonni si implicano, si informano, dialogano, e maturano questa ‘attenzione’ e questi valori in loro stessi dapprima, poiché … i ragazzi scrutano gli adulti per capire se quanto andiamo dicendo è “aria fritta” o vita vissuta nella coerenza!