Ho vissuto 40 giorni in Congo R. D. Un ‘soggiorno di condivisione’ che ho voluto regalarmi dopo la mia laurea.
Con il passare dei giorni, sempre più spesso la domanda che mi ponevo e che ponevo a chi mi era vicino era: “Ma dov’è lo Stato?”. Pur appartenendo all’Italia, ad uno Stato definito di democrazia imperfetta (la rivista The Economist pone l’Italia al 31° posto nella classifica 2011 del Democracy Index), sempre meno capace di garantire diritti e servizi ai propri cittadini, non mi capacitavo di come fosse possibile lì in Congo l’anarchia più assoluta, quando il paese si era dato, 53 anni addietro, un regime repubblicano e democratico. Senza toccare il tema della guerra civile locale che da anni lo massacra, l’assenza dello Stato si nota ad ogni angolo e solo in minima parte riesce ad essere “rattoppata” dalla presenza di ONG di ogni nazionalità e specie. È chiaro, infatti, che gli interventi esterni, autonomi e non coordinati, non possono avere la stessa incidenza ed efficacia di un intervento sistemico statale.
Allora mi stupivo: dov’è lo Stato di fronte ai cumuli di immondizia fumante ai bordi delle strade nelle città? Dov’è lo Stato di fronte ad un sistema scolastico assolutamente inefficace che genera un’istruzione che esclude la maggior parte della popolazione? Dov’è lo Stato di fronte ad un sistema di strade pessime che non permettono comunicazioni e scambio di merci, di fronte alle risorse da sfruttare che non sono sfruttate? Dov’è lo Stato di fronte alle ingiustizie di un sistema giudiziario “praticamente inesistente”?
Ho visitato molte scuole, parlato con molte famiglie e il dramma delle tasse scolastiche che impedisce a molti bambini di frequentare la scuola è molto diffuso ed è una delle principali cause del fenomeno dei bambini di strada. Gli edifici scolastici sono molto spesso delle vere e proprie baracche, soprattutto nelle zone rurali.
Non potevo crederci quando mi è stato detto che nella Costituzione nazionale, art.43, è ben detto che l’istruzione è riconosciuta come obbligatoria e gratuita. L’articolo c’è, eppure in Congo 4,6 milioni di bambini/e in età scolare sono al di fuori del ciclo scolastico formale. Il tasso d’iscrizione primaria è del 51.7% e la percentuale di iscrizione al primo anno è scoraggiante (17%).
Leggere la Costituzione che la Repubblica Democratica del Congo si è data nel 2006 è un effluvio di belle parole e riconoscimenti di diritti. Nell’art. 12 c’è anche il concetto dell’uguaglianza davanti alla legge: «Tutti i Congolesi sono uguali davanti alla legge e hanno diritto ad una tutela legale uguale».
Ho avuto modo di visitare alcuni cachot e carceri nella città di Goma.
Finire in carcere in R.D.C. è particolarmente facile: è sufficiente che una persona ne denunci un’altra per un qualsiasi reato (vero o falso che sia). Non lo è altrettanto avere garanzia di giustizia. Dipende se riesci a pagarti un avvocato, se ci sono testimoni, se hai la fortuna di avere un giudizio. Una persona arrestata finisce in un primo momento nei cachot, in attesa che la pratica venga presa in mano dalle autorità competenti. I cachot sono buchi fortuiti (uno era una ex porcilaia), mentre la maggior parte dei luoghi di detenzione sono ambienti degradati datati l’epoca coloniale, che da allora non hanno mai ricevuto ristrutturazioni.
La maggior parte delle persone che vengono rinchiuse nei cachot vi rimangono per molto tempo, e sopravvivono solo grazie alla famiglia che deve portar loro cibo e acqua. Le condizioni a cui sono sottoposti sono inumane e degradanti: i bisogni fisiologici vengono soddisfatti in bidoni di plastica all’interno della cella, non è possibile lavarsi, non ci sono letti per dormire o coperte per coprirsi o da utilizzare come stuoie. In certi cachot, l’affollamento è tale che non c’è posto per tutti per stendersi per terra, quindi di notte si dorme a turno, mentre gli altri restano in piedi e accovacciati.
Portare avanti le pratiche si rivela spesso un processo lungo e pieno di inefficienze per lo più dovute a mancanza di organizzazione e cura. Le condizioni in cui la polizia svolge il proprio lavoro non aiutano a facilitare le procedure: gli uffici sono spesso baracche di nylon o piccole stanze ritagliate ad altri servizi dello Stato. Ho visto militari e poliziotti elemosinare qualche franco; uno è collassato per terra davanti ai miei occhi, credo per debolezza. Non ricevono stipendi da Kinshasa.
La sicurezza dei cittadini congolesi è nelle mani delle persone meno istruite: alcune guardie dei cachot non sono state in grado di compilare e firmare correttamente i semplici documenti che portavamo loro per avere accesso ai luoghi di detenzione. Nell’esercito e nelle forze dell’ordine si arruola per lo più chi non ha studiato, in quanto chi ha ricevuto un’istruzione, seppur minima, ricerca lavori più remunerati.
La pagina del mio diario in cui riportavo quanto detto sopra, si concludeva con la rassegnazione: “Qui non esiste la Giustizia!”.